Musicalità e pratiche inclusive

ELENA MALAGUTI (a cura di)
Musicalità e pratiche inclusive. Il mediatore musica fra educazione e benessere, Erickson, Gardolo (Trento) 2017

A CHI SI RIVOLGE
A tutte e tutti coloro che operano in ambito musicale, a ogni livello, declinando il proprio fare in modo educativo, formativo, preventivo, riabilitativo.

MOTIVI DI INTERESSE
Al centro di questo interessante volume miscellaneo si trova la musica intesa come potente strumento atto a «tenere insieme le diversità» (p. 10). L’indagine sulle possibilità inclusive del linguaggio sonoro, «tema molto esteso che corre il rischio di essere banalizzato» (p. 15) assume già dalla Prefazione, ricca di rimandi coinvolgenti, una declinazione originale e lontanissima dalla superficialità temuta. In essa il sapiente, quanto garbato e “leggero”, dialogo fra Trombone e Arpa, alias il compianto Andrea Canevaro (uno dei padri della pedagogia speciale italiana e grande “maestro di umanità”) e Elena Malaguti (docente di Didattica e Pedagogia speciale all’Università di Bologna, attenta curatrice del volume e autrice di sostanziosi contributi), si snoda attorno al tema della “valutazione”, «questione scottante in questo periodo storico. Scotta come quando il calore del fuoco brucia le dita della mano di un bambino che si avvicina con imprudenza o superficialità. In sé il fuoco non è un problema, lo diventa nella misura in cui non lo si padroneggia lo si utilizza senza conoscerne le proprietà» (p. 10). La valutazione, con i suoi pericoli, aleggia sulle persone, sui comportamenti dissonanti, sulle «cose della musica» (ibid.); ma proprio grazie a queste ultime possono essere superate “le diagnosi” e le classificazioni valoriali creando legami che mantengono insieme le diversità.
Partendo da queste premesse, musicisti, pedagogisti, educatori, operatori dei servizi socio-educativi, musicoterapeuti, insegnanti, sono chiamati a dialogare in modo mediato al fine di esplorare le differenti possibilità di approccio «alla musicoterapia, all’educazione al sonoro e al costrutto di musicalità» (p. 13).
Le due parti del volume fra loro interconnesse – una dedicata a esplorare il tema da una prospettiva prevalentemente educativa (privilegiata in questa presentazione), l’altra orientata maggiormente a un interesse terapico – sono introdotte da una riflessione della curatrice che sgombra il terreno da un temibile pregiudizio: ovvero che la musica debba essere solo un campo per esperti e non invece «un atteggiamento interiore, un veicolo per costruire contesti armonici» (p. 15). Evidentemente si tratta di una pericolosa idea ancor troppo diffusa per essere ignorata, nonostante possa apparire anacronistica o distopica a chi si occupa di educazione “con/alla” musica. L’agire educativo artistico, integrante percorsi formativi e performativi, viene quindi inserito nella complessità dell’ecologia sociale e umana in chiave inclusiva. Si tratta di una lettura agevole e densa, da intendersi non solo come cornice dell’intero volume ma anche come visione d’insieme, in sé conchiusa, per chi intenda avvicinarsi in maniera non semplificativa al tema dell’inclusione.
I fondamenti biologici e sociali della musicalità vengono indagati da prospettive distinte da Maurizio Spaccazzocchi e Manuela Filippa. Il primo, ponendosi in uno dei punti di vista che legano saldamente la posizione dell’educatore e del terapista, indaga la possibilità di avvicinarsi alla musicalità altrui, intesa come “volto” umano. Si tratta quindi della manifestazione dell’altro da sé, la cui comprensione (intesa secondo l’etimo di cum-prehendere), si realizza quando cerchiamo di essere nell’altro (cfr. p. 45 e segg.). Lo sviluppo ontogenetico della musicalità, sin dalle primissime forme assunte nell’ambito della relazione diadica madre-bambino, viene quindi presentata dalla seconda autrice esplicitandone le implicazioni pedagogiche per l’educazione dei più piccoli. Ci pare interessante suggerire, in un ideale itinerario di lettura, di proseguire con il contributo di Anna Rita Addessi e Luisa Bonfiglioli. Posto nella seconda parte del volume, esso consente invece di esplorare, aprendo “mondi paralleli”, l’interazione musicale fra uomo e macchina attraverso il paradigma dell’«interazione riflessiva» (p. 149 e sgg.).
Enrico Strobino, con il suo approccio inconfondibile, faro per tanti educatori in formazione permanente, ci riporta nell’ambito di una musicalità inclusiva quotidiana e agita, fatta di riferimenti pedagogici, materiali e processi “iconici” orientati a sviluppare in contesto scolastico un pensiero creativo che valorizzi le differenze e scardini il concetto di “valutazione” così come anticipato nella Prefazione.
La prima parte si conclude con un corposo studio di Elena Malaguti e Marta Olivieri che indaga, in particolari campi d’esperienza legati alla performatività, alcuni dei fondamenti della pedagogia musicale italiana contemporanea: «il linguaggio musicale come mediatore per l’avvio di relazioni cariche di significato e per la costruzione di contesti educativi in cui la dimensione estetica diventi un tramite e regolatore di processi emotivi, culturali e sociali» (p. 122). Con un approccio di narrative inquiry vengono analizzati i territori e i protagonisti di quattro esperienze inclusive, tra cui la celeberrima Orchestra di Piazza Vittorio, accomunate da una declinazione di inclusività che diviene “partecipazione” e “cittadinanza” (cfr. p. 138 e sgg.). Lo studio si completa con un contributo delle medesime autrici, presente nella seconda parte, dove il tema è indagato non più in chiave educativa, ma nell’ambito della cura e del benessere (p. 213 e sgg.). Proprio la relazione di cura anche con persone disabili è al centro di ulteriori due approfondimenti di Luisa Bonfiglioli, Pio Enrico Ricci Bitti e Massimo Borghesi (p. 175 e sgg.).
Alcune delle tante connessioni sotto traccia, presenti nel volume, fra gli ambiti dell’educazione e della terapia, sono esplicitate da uno specifico contributo (di Strobino e Borghesi) presentando confini, sovrapposizioni e possibili alleanze fra i due ambiti di conoscenza ed esperienza. In relazione alle coalizioni, le competenze tipiche della musicoterapia innestate sulla dimensione educativa consentirebbero di attivarne le potenzialità di «prendersi cura l’uno dell’altro» (p. 206), di educare alla bellezza pensando tanto all’individuo quanto all’«anima del mondo» (p. 210).
Questi poderosi orientamenti, che non possiamo che supportare in ogni forma, come ci ha anche insegnato Luigina Mortari, pedagogista per tanti aspetti “rivoluzionaria” (cfr. ad esempio Filosofia della cura, Cortina, Milano 2015), forse sono già insiti nell’azione dell’educare che altrimenti non sarebbe tale.

Lara Corbacchini