Neuroscienze cognitive della musica

ALICE MADO PROVERBIO
Neuroscienze cognitive della musica
Zanichelli, Bologna 2019, pp. 212, € 27,00

A CHI SI RIVOLGE
È un testo per studiosi di neuroscienze, educatori e musicoterapeuti, musicisti e studiosi di musica.

MOTIVI DI INTERESSE
Il rapporto fra neuroscienze e musica è un tema molto interessante e attuale, che inizia ad avere una certa letteratura anche in Italia. L’autrice, docente di Psicobiologia e Psicologia fisiologica presso l’Università di Milano Bicocca, presenta nel volume le risultanze degli studi di questo settore, organizzandole intorno ad alcuni temi, quali il cervello del musicista e del cantante, le attitudini musicali, i neuroni specchio e la musica, musica e movimento, consonanza/dissonanza, neuroestetica della musica, musica da film. Per ognuno di questi viene offerta una panoramica dettagliata delle ricerche, ma la sensazione è che l’idea di musica che fa da sfondo a questa esposizione sia talvolta superata sul piano epistemologico. Troviamo riproposta ad esempio la vecchia dicotomia fra tecnica strumentale (assimilata a un addestramento motorio meccanico) e interpretazione, dicotomia che si fonda sulla concezione superata (anche sul piano neuromotorio) di un’esecuzione strumentale come traduzione motoria della notazione. Le ultime teorie e ricerche (si veda la Embodied Cognition) suggeriscono piuttosto di partire dall’assunto di una integrazione fra piano senso-motorio e intenzione espressiva nella resa sonora, integrazione accreditata proprio dalla teoria dei neuroni specchio.
Anche l’uso della terminologia musicale sembra denotare una superficiale padronanza di alcuni concetti. Sopravvive in questo testo (come in molte traduzioni da studi anglosassoni) l’uso del termine “tono” per indicare l’altezza, che in italiano crea confusione con l’intervallo omonimo. Inoltre sono usati come sinonimi termini che si riferiscono a concetti diversi (ad esempio “dissonanza” e “battimenti”, “serialità” e “aleatorietà”) e la distinzione fra “accordi” e “intervalli” non sembra chiara (a p. 162 si parla di “accordi di terza minore” e “di terza maggiore”). Una tale superficialità nei fondamenti teorico-musicali disorienta il lettore e può inficiare il senso anche delle risultanze scientifiche, conducendo verso interpretazioni discutibili o banalizzanti. Riteniamo doveroso sottolineare questo rischio perché crediamo che uno scambio approfondito fra competenze musicali, psicologiche e neuroscientifiche potrebbe essere molto fecondo per gli sviluppi delle ricerche e per le loro declinazioni in ambito metodologico-didattico.

Anna Maria Freschi