Communicative musicality

STEPHEN MALLOCK – COLWYN TREVARTHEN (a cura di)
Communicative musicality. exploring the basis of human companionship
Oxford University Press, New York 2010, € 59,50 [paperback; prima edizione hardcover 2009]

A CHI SI RIVOLGE
Agli studenti universitari e dei conservatori, agli studiosi e ricercatori interessati ad approfondire, secondo differenti chiavi scientifiche, gli aspetti comunicativi della musicalità umana, attraverso un quadro generale sulle prospettive e teorie più autorevoli, arricchito da approfondimenti specifici.

MOTIVI DI INTERESSE
Ripercorrendo a ritroso la storia più recente di “Musica Domani”, a cui è dedicato questo numero speciale in occasione del cinquantenario della prima uscita, si ritrova un deliberato orientamento per la condivisione delle più accreditate prospettive di studio inerenti la comunicativa musicale.  Numerose le ricerche originali, le riflessioni multidisciplinari e le sintesi con più marcato intento divulgativo riferibili, per autori, temi, indicazioni bibliografiche al volume oggetto di questa presentazione.
L’esplorazione del complesso fenomeno avviene grazie a ventisette saggi dei maggiori studiosi dell’argomento (solo alcuni citati nel prosieguo); essi sono raccolti secondo cinque prospettive complementari, ciascuna corrispondente a una specifica sezione del volume, tutte introdotte da una riflessione dei due curatori. I contributi ritrovano il comune denominatore nella dimensione “linguistica” della musicalità, fondamento della più complessa relazionalità umana.
La prima sezione, The origin and psychobiology of musicality, esplora l’argomento secondo un’ampia prospettiva evolutiva, analizzando l’importanza per lo sviluppo della nostra specie della communicative musicality. Di particolare fascino i contributi che individuano nella musicalità il mezzo primario per la cooperazione affettiva e comportamentale di due individui legati da un amorevole mutuo bisogno (Dissanayake); tali scambi assumono forme rituali che costituiscono nell’uomo, quanto negli animali, stimoli per la “mente sociale” (Merker). L’analisi del significato e dell’intenzionalità di tali scambi viene quindi approfondita con contributi legati alla semiotica (Brandt) e alla embodied cognition (Cross e Morley), individuando nel “linguaggio” musicale uno strumento evolutivo per il superamento di situazioni di conflitto sociale. Completano la trattazione approfondimenti di natura neuroscientifica (Panksepp e Trevarthen) e di neuroimmagine (Turner e Ioannides).
La visione assume nella seconda parte una declinazione filogenetica con un focus su Musicality in infancy. Si indagano le diverse abilità musicali presenti nei più piccoli necessarie all’apprendimento e alla partecipazione alle diverse forme culturali delle “arti del tempo”. Riprendendo temi già accennati nella prima parte, viene approfondita la relazione musicale secondo due direzioni: diadica, fra care giver e bambino (anche in chiave multiculturale, Powers e Trevarthen, o in situazioni di disagio materno, Marwick e Murray); fra pari, come strumento per la percezione di “un virtuale altro da sé musicale” e come via di accesso alle manifestazioni della propria cultura.
I bambini sono oggetto anche della quarta sezione, Musicality in childhood learning, che presenta prospettive educative incentrate sulla valorizzazione della creatività e della comunicativa musicale innata, descritte in stretta relazione agli orientamenti del capitolo precedente (Bannan e Woodward). Il focus più legato all’apprendimento/insegnamento si apre con il seducente contributo di Erickson; in esso il valore dello scambio educativo declinato con modi “musicali” diviene il motore vitale di qualunque insegnamento disciplinare. Focus specifici portano quindi l’attenzione sullo scambio educativo adulto-bambino dove la musicalità dei più piccoli costituisce il punto di partenza e il motore dell’azione (Custodero).
Le performance musicali, frutto della creatività soggettiva e di una intima condivisione fra i partecipanti, sono al centro dell’ultima sezione(Musicality in performance); questa parte, rilanciando anche molti dei temi precedentemente trattati, costituisce il punto d’arrivo ideale della lettura. La performance viene intesa come un rituale che affonda le proprie origini nell’evoluzione e nella comunicazione infantile diadica (Dissanayake), ma anche, con maggiore attenzione alla dimensione temporale, come una relazione complessa fra biologia, ritmo e i “vortici della coscienza” (Osborne). L’analisi delle prestazioni, secondo una prospettiva volta a illustrare gli aspetti embodied, è la chiave di lettura degli ultimi due saggi: uno incentrato sulla biomeccanica della coordinazione (Davidson e Malloch), l’altro sugli aspetti narrativi.
Secondo l’itinerario di lettura proposto, la terza sezione Musicality and healing può essere vista tanto come un interludio, quanto come un postludio. Al suo centro si trova la constatazione che la musica e la danza possono trasportaci in una disposizione d’animo più gioiosa e inclusiva. I benefici dell’utilizzo terapeutico di queste arti è documentato in diversi contesti al cui centro sono i bambini in situazioni di sofferenza: reduci da guerre, con famiglie disfunzionali, oggetti di pesanti abusi, non vedenti, con disturbi dello sviluppo. Appare particolarmente interessante per la comprensione di alcune delle potenzialità terapeutiche illustrate, il ruolo delle attività imperniate su una comunità, piuttosto che su una individualità intesa come isolata e a-culturale: le prime infatti promuovono, attraverso la valorizzazione della musicalità comunicativa catalizzatore di tutto il volume, un positivo fare musica in modo collaborativo (Pavlicevic e Ansdell) e la promozione di benefiche “comunità estetiche” (Bond).

Lara Corbacchini