Dieci falsi miti

ANTONIO CALVANI – ROBERTO TRINCHERO
Dieci falsi miti e dieci regole per insegnare bene
Carocci Faber, Roma 2019, pp. 156, € 13,00

A CHI SI RIVOLGE

Il volume si rivolge esplicitamente a tutti gli insegnanti di ogni ordine e grado che desiderino riflettere sulla validità metodologica delle più conosciute strategie didattiche.

MOTIVI DI INTERESSE

Gli autori del volume sono tra i promotori italiani di un approccio di ricerca di origine anglosassone conosciuto come Evidence-Based Education (EBE – educazione basata sulle evidenze) che si propone di raccogliere e diffondere dati documentati sulle prassi per l’efficacia didattica volte a supportare gli insegnanti nel loro lavoro in classe. Il tentativo è infatti quello di offrire strumenti operativi validati da argomentazioni credibili e scientificamente attestate.

In forma di prontuario e di agile manuale, nella prima parte il volume offre all’insegnante l’illustrazione e l’argomentazione di una serie di credenze didattiche diffuse quali luoghi comuni nelle prassi quotidiane (ad esempio: l’idea che un metodo valga l’altro; che si debba abolire la lezione frontale; che le tecnologie migliorino ipso facto l’apprendimento; che sia opportuno partire dalla pratica; che si debbano assecondare gli stili di apprendimento degli studenti, e altro ancora). Nella seconda parte, in modo analogamente schematico, sono presentate le “regole” più efficaci per la costruzione dei principali passaggi di ogni itinerario didattico.

A una impressione superficiale il volume potrebbe far trasparire una sorta di “orientamento di restaurazione” volto a sconfessare le parole d’ordine innovative introdotte negli ultimi anni nella scuola e a ricostituire più tradizionali linee di pensiero.

In verità, poggiandosi sulle testimonianze di numerose ricerche internazionali, gli autori intendono suggerire all’insegnante l’adozione di una postura maggiormente riflessiva rispetto alle azioni che si compiono. Tra le righe si legge infatti l’invito a non assumere in modo acritico gli approcci e gli orientamenti introdotti nella scuola, ma a valutarli attraverso il confronto con le ricerche del mondo accademico.

In questo senso il volume, che cerca di essere opportuno strumento di mediazione, evidenzia però qualche limite: se da un lato invita l’insegnante al confronto offrendo in forma sintetica e divulgativa le riflessioni desunte da studi di grande complessità, dall’altro rischia un appiattimento in formule e schemi la cui applicazione si oppone alla costruzione di una competenza estetico-pedagogica che, in dialogo con un approccio maggiormente scientista, suggerirebbe il ricorso a un artigianato didattico maggiormente creativo. A nostro parere, sarebbe proprio la messa a punto di questo aspetto a divenire invece elemento di discrimine valoriale per una significativa efficacia didattica, poiché capace di recuperare la differenza esistente tra il campo medico – ambito in cui la pratica evidence-based ha avuto origine – e quello delle scienze sociali ed educative, in cui il fattore relazionale, empatico e comunicativo (difficilmente standardizzabile in prassi adattabili ad ogni contesto) rappresenta il terreno capace di qualificare i processi di insegnamento e apprendimento.

Alessandra Anceschi